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Partito Democratico - Emilia-Romagna
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Bersani: "Il mio piano per governare"

1 marzo 2013

Pubblicato in: Elezioni 2013

«CHIAMATELO come volete: governo di minoranza, governo di scopo, non mi interessa. Mercoledì prossimo lo proporrò in direzione, poi al Capo dello Stato: io lo chiamo un governo del cambiamento, che mi assumo la responsabilità di guidare, che propone sette o otto punti qualificanti e che chiede in Parlamento la fiducia a chi ci sta». Pierluigi Bersani si gioca così le ultime carte. Chiuso nel suo ufficio, tormenta il solito toscano spento. Ma appare molto più battagliero della mesta conferenza stampa di martedì scorso. Il leader del Pd prova a uscire dall'angolo rilanciando la sfida a Grillo («i suoi insulti non mi spaventano»), aprendo alle ipotesi di offrire le alte cariche dello Stato a M5S e Pdl («sui ruoli istituzionali siamo pronti a esaminare tutti gli scenari») ma chiudendo definitivamente la porta a qualunque "governissimo" con Berlusconi («ora basta, di occasioni per dimostrarsi responsabile ne ha avute e le ha sprecate tutte»).

Segretario, partiamo dall'inizio. Il giorno dopo lo tsunami. Cos'ha provato, lunedì sera?
«Come ho già detto: una delusione per una governabilità a rischio ».

Vogliamo dirlo? Queste elezioni le avete perse.

«Anche se per la prima volta un partito di centrosinistra ha avuto la maggioranza assoluta alla Camera e relativa al Senato questo non ci ha consegnato di per sé la soluzione, come avverrebbe in altre democrazie del mondo...».

Non parli in politichese. Avete vinto numericamente, ma avete perso politicamente. Il Pd ha dilapidato 3 milioni 600 mila voti, con il neo-liberismo in crisi, l'onda lunga delle sinistre in Europa, la destra berlusconiana distrutta in Italia. Quando vi ricapiterà un'occasione del genere?
«Certamente questa ondata di protesta ed esigenza di cambiamento ci è arrivata in casa. Ma non è vero che le "condizioni di sistema" erano così favorevoli. Sul terreno sociale non lo erano affatto. E questo io l'avevo percepito. Si vada a rileggere tutto quello che ho detto in campagna elettorale, e vedrà se non è vero».

Se fosse vero, gli italiani l'avrebbero votata in massa. Se non è successo la colpa di chi è? Degli italiani che non hanno capito, o di voi che non vi siete spiegati?
«Ne vedo tanti di dotti, medici e sapienti che sdottoreggiano col senno di poi. Io non ho mai pensato che se non vinciamo la colpa è degli italiani che non ci capiscono. E neanche penso che quel che è avvenuto sia riconducibile a errori della campagna elettorale che possono sempre esserci. Si sono fronteggiati una destra che proponeva soluzioni fiscali oniriche e Grillo che proponeva la palingenesi. Mi vuol far dire che avremmo dovuto coltivare anche noi un messaggio che si inserisse tra l'impossibile e l'irrazionale? Avremmo dovuto essere un po' meno "realisti"? Non sono convinto di questo. In campagna elettorale ho sempre detto che il cuore della crisi italiana nasceva dai temi sociali, dall'impoverimento e dall'allargamento della forbice delle disuguaglianze».

L'impressione è che siate rimasti ingabbiati tra la solita paura di scoprirvi a sinistra e la solita necessità di aprire al centro, tanto più che sapevano tutti che dopo il voto avreste fatto l'accordo con Monti.
«È innegabile che la necessità di non rompere con Monti ci ha condizionato. E in questo condizionamento qualcosa abbiamo pagato ».

In più avete sottovalutato la rabbia degli italiani, che mentre pagavano l'Imu vedevano moltiplicarsi gli scandali e non vedevano limiti ai privilegi della casta.
«Ho sempre avuto chiaro quanto contassero anche i nodi dei costi e dei meccanismi della nostra democrazia, che via via sono diventati una pregiudiziale ineludibile per tanti elettori che hanno scelto il Movimento 5 Stelle...».

Ma lo tsunami vi ha travolto lo stesso. Evidentemente il messaggio sul cambiamento è stato vago, o non abbastanza forte.
«No, su questo non ci sto. Si può dire che non siamo riusciti ad evitare che il fenomeno del voto del disagio e della protesta ci venisse in casa. Ma non mi si venga a dire che non avevamo visto il pericolo. Se non l'avessi visto non avrei fatto le primarie, mettendomi in gioco, e non avrei fatto le "parlamentarie". E oggi lo tsunami non l'avremmo preso di striscio, ma in piena faccia. Se abbiamo un Parlamento tutto nuovo il grosso del merito è nostro: il 42% dei nuovi sono donne, e su 340 deputati dei nostri eletti alla Camera io ne conosco al massimo il 10%. In campagna elettorale ho passato giorno e notte a divincolarmi, tra chi mi chiedeva a quanti centimetri di distanza il Pd dovesse stare da Monti o da Vendola. Mi sono sgolato a rispondere "voi siete matti, non vedete che il problema non è questo"?».

Lei si sgolava pure, ma non si chiede perché non l'abbiamo sentita?
«Vuol dire che abbiamo sbagliato qualcosa in campagna elettorale? Accetto anche questo. Ma vede, insistere su questo vuol dire rimuovere la questione di fondo. Le ragioni che spiegano la novità del voto le ho indicate più volte e ora devo solo rafforzarle. Negli ultimi due anni la riduzione di Pil e la distruzione di valore aggiunto e posti di lavoro è comparabile solo con quello che è successo dopo l'ultima Guerra Mondiale. Di fronte a questo dramma la politica è apparsa impotente o immorale. Chiedersi "quanto ci costa un parlamentare" è l'altra faccia del chiedersi "a che serve un parlamentare". La democrazia rappresentativa ha dimostrato di non padroneggiare l'avvitamento in atto tra austerità e recessione. È un tema europeo, ma è un tema ancora di più italiano. Questa crisi ha creato correnti fortissime, l'opinione pubblica si è divisa tra istanze di innovazione, proteste radicali, linee di fuga utopiche, scorciatoie per cercare il meglio dal peggio, tipo "usciamo dall'euro". Qui, in questo punto, sta il che fare...».

Bene, ce lo spieghi. Che fare?

«Prima di tutto c'è da rispettare l'esito del voto. In secondo luogo c'è bisogno che ciascuno si assuma le sue responsabilità. A noi spetta la prima parola perché abbiamo la maggioranza, larga alla Camera e relativa al Senato. E allora, per noi responsabilità significa cambiamento. Il cambiamento non è un'esclusiva di M5S. Anche noi l'abbiamo chiesto, l'abbiamo praticato e oggi e lo invochiamo con ancora più forza».

In che modo? Qual è la sua proposta per dare governabilità al Paese?
«Voglio ribaltare lo schema. Mercoledì prossimo in direzione mi assumerò la responsabilità di formalizzare la proposta di un governo di cambiamento, che segnali in modo netto il cambio di fase con sette-otto punti programmatici. Il primo tema è l'Europa. Voglio che il prossimo governo ponga una questione dirimente, di cui ho parlato al telefono con Hollande l'altroieri: l'austerità da sola ci porta al disastro. In sede europea, tutti devono mettersi in testa che il rientro dal debito e dal deficit è un tema che va spostato nel medio periodo: ora c'è un'altra urgenza assoluta, il lavoro. Il secondo tema è quello sociale. Il disagio è troppo forte, i comuni devono poter aprire sportelli di sostegno, bisogna sbloccare subito i pagamenti della PA alle imprese e introdurre sistemi universalistici negli ammortizzatori sociali. Il terzo tema è la democrazia. Il nuovo governo, immediatamente, deve dimezzare il numero dei parlamentari, abbattere gli stipendi al livello di quelli dei sindaci, varare leggi che regolino la vita dei partiti e non solo per i finanziamenti, che inaspriscano drasticamente le norme anti-corruzione e che regolino finalmente i conflitti di interessi. Ciascuno di questi punti si tradurrà in un specifico disegno di legge, che giorno dopo giorno farò pubblicare in rete già da giovedì mattina. Questo mi offrirà la gradevole opportunità di rilanciare anche qualche vecchia idea, come la creazione di un ministero per lo Sviluppo Sostenibile, visto che l'economia verde deve essere il cuore del nuovo governo che ho in testa».

Perfetto. E con questa piattaforma programmatica cosa ci farà, una volta ottenuto il via libera dalla direzione del Pd?
«Quando il Capo dello Stato mi chiamerà per le consultazioni, io presenterò questa piattaforma come base per un governo di cambiamento...».


... di cui lei si candida a fare il presidente del Consiglio?
«Sì. Questa sarà la mia proposta a Napolitano. Con questa piattaforma io mi presento in Parlamento, perché è ora che questo Parlamento fortemente rinnovato torni a svolgere fino in fondo il suo ruolo. Con questa piattaforma io mi rivolgo a tutte le forze politiche, per vedere chi è pronto ad assumersi le proprie responsabilità».

E questo cosa sarebbe? Un governo di minoranza, un governo di scopo, che si va a cercare i voti dove li trova, senza maggioranze precostituite?
«Lo chiami come vuole. Per me è un governo di cambiamento, che come tutti i governi chiederà la fiducia. La mia partita la gioco a viso aperto, e questo vuol dire che non ci sono tavoli segreti, inciuci o caminetti ».

Grillo dice: "sceglierò legge per legge cosa votare"...
«Leggendo la nostra costituzione, votare legge per legge non è sufficiente, perché un governo nasce con un voto di fiducia o non nasce per niente. Ora sta a lui scegliere. Il cambiamento non lo fai con quelli che di una torta si vogliono mangiare solo la ciliegina. Il Paese va governato, non può essere lasciato allo sbando di fronte all'Europa e ai mercati».

D'Alema propone di cedere a M5S e al Pdl la presidenza di Camera e Senato. Lei è d'accordo?
«Non mi discosto da quello che ho detto in campagna elettorale. Chi arriva primo non ha l'esclusiva sulle cariche istituzionali. Ma ci sono due aspetti che mi preme sottolineare. Il primo: l'emergenza non si affronta con i vecchi schemi da cittadella assediata della politica. Il secondo: quando ci sono in ballo le istituzioni sono aperto a tutte le ipotesi, ma quando si parla di governo non possono esserci ambiguità...».

Appunto, Hic Rhodus. Se salta lo schema del suo "governo di cambiamento" lei è pronto o no a fare il patto col diavolo, cioè un governo di larghe intese con il Berlusconi "statista" che dice "questa è l'ora della responsabilità"?
«Senta, in questi anni Berlusconi di "ore della responsabilità" ne ha avute a bizzeffe, e le ha mancate tutte. La responsabilità lui non la concepisce al di fuori degli interessi suoi e dei suoi. Dunque, lo voglio dire con assoluta chiarezza: l'ipotesi delle larghe intese non esiste e non esisterà mai».

Eppure sembra che anche nel Pd ci siano forti pressioni su di lei.
«Pressioni ce ne sono tante, e di tutti i tipi. Anche la base preme, e in direzione opposta a quella delle larghe intese. Per fortuna siamo un grande partito, che discute e decide in organismi collegiali. Proposte di governissimo finora non ne ho sentite. Sarebbero la morte del Pd, sarebbero risposte di una politica che rifiuta la realtà e si chiude in se stessa. Io ho un'altra idea: come ho detto sempre in campagna elettorale serve un governo di combattimento, e io sono pronto a guidarlo».

Ma se Grillo le risponde picche, e le ripete che lei è "un morto che cammina" che si fa?
«Mi aspettavo che Grillo rispondesse così. Ma sbaglia di grosso, se pensa di aver davanti uno che si impressiona. A Grillo voglio solo dire che accolgo il suggerimento di Vasco Rossi: "fottitene dell'orgoglio". Lui può insultare finchè vuole, ma deve venire in Parlamento a dirmelo. Gli lancio questa sfida. Il governo di cambiamento che propongo non risponde solo al sentire del suo popolo, ma anche del mio. Finora il suo slogan è stato "tutti a casa". Bene, ora che dentro la casa c'è anche lui dica con chiarezza se vuole andare via anche lui o se è interessato a ristrutturare la casa».

Non mi ha detto se nel suo pacchetto c'è anche la riforma della legge elettorale, visto gli ennesimi disastri prodotti dal Procellum.
«È certamente una priorità. Bisognerà verificare le posizioni altrui. Noi la nostra proposta l'abbiamo già presentata in Parlamento: maggioritario a doppio turno, sul modello francese».

D'Alema, evidentemente per blandire il Pdl, propone di inserire il presidenzialismo. Lei condivide?
«Nella nostra proposta deliberata dall'assemblea nazionale il presidenzialismo non c'è».

Senta, ma se il suo governo di cambiamento fallisce che succede? Si torna a votare?

«Non ho subordinate. Questa è la mia proposta. Deciderà il presidente della Repubblica, con la sua consueta saggezza».

Lei si sta giocando l'osso del collo. Non ha mai pensato di dimettersi, in questi giorni? E che farà se la sua proposta non va in porto?
«Dimissioni? Sono due anni che dico che questo 2013 per me è l'ultimo giro. Lo so e l'ho sempre saputo. Ma da mozzo o da comandante, io non lascio la nave...».

Segretario, dica la verità. Quanto pesa l'istinto di sopravvivenza delle nomenklature?

«Non scherziamo. Qui c'è un Paese da salvare. Per quel che riguarda me chi pensa che sia in gioco una questione personale o è un meschino, o è un cretino».

Intervista di Massimo Giannini, pubblicata su La Repubblica di venerdì 1 marzo


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