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Bonaccini: "non possiamo temere il Congresso"

26 luglio 2013

Pubblicato in: Interviste

Una persona d`altri tempi, tanto per cominciare: oppure - meglio - di una politica d`altri tempi. Uno che, per intenderci, ricevuta richiesta di intervista sulle estenuanti dispute Pd lungo l`asse Congresso-rinvio-Renzi-governo, risponde così (e non ce ne vorrà, per la pubblicità che diamo al suo sms): «Essendo componente della Commissione Congresso, da quando si è insediata per discutere e decidere regole e tempi, non ho mai dato interviste su media nazionali per rispetto della Commissione stessa. Se ci limitiamo ai motivi per cui secondo me il Congresso va fatto, e in che tempi, accetto volentieri. Eviterei però di entrare nel merito di giudizi sui candidati». È uno stile, diciamo così, che non va più... Ma non lo avevamo cercato per questo, cioè per l`ennesima rissa: bensì per provare a fargli raccontare che effetto fa ad uno come lui - lontano da Roma, eppure capo del più forte Pd d`Italia, quello emiliano, quasi 100mila iscritti - assistere agli spasmi quotidiani di un partito che pare incatenato ad un rebus molto intimista: se fare il Congresso, come, quando e se meglio tutti contro Renzi oppure no. Stefano Bonaccini ha 46 anni, è il segretario modernamente all`antica del Pd emiliano, è «sospettato» di crescenti simpatie renziane e dice che non è un bello spettacolo a vederlo dall`Emilia, naturalmente.

E non è che appaia così soltanto a lui, perché anche nei circoli non se ne può più della tiritera romana e della specialissima guerra per bande scatenatasi nel Pd. Congresso subito, dunque: la pensa anche lei così?
«La penso come Gianni Cuperlo: tempi brevi e certi. Dopo quattro anni è giusto e normale indire il Congresso, e sono sicuro che già nella Direzione di oggi Epifani - che è persona seria e sta facendo bene - ci darà qualche indicazione in più».

Molti però dicono che a farlo in autunno si rischia un referendum sul governo...
«Se fosse così, significherebbe solo che abbiamo una classe dirigente non all`altezza del compito, e non lo credo. Dobbiamo avere più fiducia in noi stessi: siamo meglio di quel che sembriamo, e perfino di quello che noi stessi pensiamo. Inoltre è illusorio, oltre che consolatorio, immaginare che la durata del governo dipenda dal nostro Congresso. Durerà finchè farà cose: quelle elencate in avvio da Enrico Letta».

La stanno tirando troppo per le lunghe, qua a Roma, insomma.
«Guardi, vado tutte le sere in giro per le feste democratiche dell`Emilia-Romagna e posso assicurarle che la nostra gente non è contenta, ma ha capito la complessità del momento: solo che pensa che fare i congressi aiuti e non ostacoli - il percorso che abbiamo davanti».

La «vostra gente» ha capito ed è d`accordo anche col patto di governo siglato con Berlusconi?
«Mettiamola così: se ne sono fatti una ragione. Io spero che il governo Letta duri a lungo, perché questo significherebbe che sta dando risposte ai problemi del Paese. Siamo in una situazione in cui le parole non contano più nulla: quel che i nostri aspettano, sono i fatti. Naturalmente, poi succedono cose che moltiplicano i dubbi...».

Cose del tipo?Visto da lontano, dall`Emilia, il Pd è troppo arrendevole, forse?
«Il Pd deve fare la sua strada, quindi sostenere lealmente il governo, finché corrisponde alle attese del Paese; e poi affrontare i suoi, di problemi: cosa che si fa, appunto, con i congressi».

Insiste peri tempi brevi...
«Non voglio dare lezioni a nessuno, sia chiaro: ma non è che il mondo comincia e finisce a Roma. C`è il territorio, le regioni, i comuni, il Paese, insomma... La primavera prossima si vota in una grandissima quantità di città piccole e grandi; dovremo fare primarie di coalizione per scegliere i candidati, individuare i nostri e provare a vincere le elezioni: possiamo farlo senza gruppi dirigenti nuovi e legittimati? Oppure: si può responsabilmente immaginare di intrecciare e sovrapporre congressi ed elezioni?».

Ma fare il Congresso tra quattro o cinque mesi, sostengono molti a Roma, significherebbe consegnare la vittoria a Renzi...
«Questa è un`altra questione: e come le dicevo in premessa, mi pare corretto non parlarne».

In conclusione? Vogliamo mandare un messaggio a «quelli di Roma»?
«Mi verrebbe da dire: fuori gli attributi. Ma è meglio spiegarsi: non possiamo aver paura di fare un congresso. E dobbiamo praticare - oltre che affermare dai palchi - la nostra diversità, essendo orgogliosi di essere gli unici capaci di mobilitare iscritti ed elettori, nelle primarie, nelle feste, nelle occasioni che contano. E, voglio sperare, perfino in un Congresso...».

Intervista di Federico Geremicca, La Stampa, venerdì 26 luglio 2013


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