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Partito Democratico - Emilia-Romagna
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Bonaccini:" Parliamo al Paese, non tra di noi"

11 gennaio 2013

Pubblicato in: Interviste

«Evitiamo di aprire un dibattito tutto interno al partito alla vigilia della campagna elettorale. Le liste sono state votate all'unanimità dalla direzione nazionale. Ora le persone che fanno fatica ad arrivare a fine mese si aspettano da noi risposte, non dispute interne: parliamo al Paese, non tra di noi». Stefano Bonaccini lo dice con calma, ma lo scandisce fermo, al termine di una giornata convulsa a Modena, dove finisce commissariato il segretario Davide Baruffi, quinto alle primarie, mentre da Bologna parte la rivolta contro i "blindati" del listino nazionale. Nel mirino soprattutto gli uscenti Giancarlo Sangalli e Gianluca Benamati, che hanno evitato le primarie e che ora vengono premiati, finendo nell'elenco dei "garantiti" scelti direttamente da Roma.


Segretario, il documento è firmato da 25 dirigenti, tra cui molti bersaniani, ed è rivolto a lei e a Bersani. Vi si chiede con che criterio Benamati e Sangalli sono stati paracadutati mentre gli altri uscenti si sono sottoposti al giudizio degli elettori. Come risponde?


«Intanto premetto che non ero in cabina di regia, a Roma. Presumo che Sangalli sia stato indicato in rappresentanza dalla piccola e media impresa artigiana nazionale, come fu nel 2008. E che Benamati, che comunque è candidato in Piemonte, sia stato scelto, oltre che per le sue competenze, in nome del pluralismo politico del partito».


Cioè della corrente di Beppe Fioroni. Però così questi parlamentari passano davanti, in lista, a chi ha fatto le primarie. Non le pare legittima la protesta?


«Io sono abituato ad ascoltare le ragioni di tutti. Però si sapeva fin dall'inizio che una quota di candidati sarebbe stata scelta a Roma, tra profili che rappresentassero competenze, parti di società o pluralismo politico. La lista finale è stata votata all'unanimità. Detto questo, sono d'accordo con Sandra Zampa che si debba tenere conto, nell'attribuzione degli incarichi parlamentari, di chi ha fatto le primarie e di chi no. Ora però evitiamo di avvitarci in una discussione interna».


Teme che queste polemiche possano farvi «perdere voti», come ha detto il segretario Pd di Ferrara Paolo Calvano?



«Temo si perda di vista l'insieme. In Emilia Romagna abbiamo solo tre candidati su 67 provenienti da altre regioni. Abbiamo il 45% di donne elette, record in Italia, e risultato "sacrosanto" che d'ora in poi dovrà essere la regola. Abbiamo portato 151mila persone alle urne e non abbiamo ricorsi».

Eppure le critiche non mancano. I renziani ad esempio. Salvatore Vassallo s'è dimesso dalla
segreteria regionale e «non si riconosce più nel partito». Matteo Richetti critica l'esclusione di Roberto Reggi dal listino.



«Stimo Salvatore e capisco la sua amarezza. Ma non condivido proprio che si dia questo giudizio di un partito per il quale ci si è appena candidati. Troppo facile farlo a posteriori, dopo aver perso le primarie. Quanto a Reggi: se si crede in un progetto ci si mette a disposizione, indipendentemente dal ruolo. Io spero che lui lo faccia. Vale per Reggi quello che ho sempre detto per me decidendo di non candidarmi in Parlamento: non ci si deve sentire indispensabili, ma sempre utili. In questo senso ho molto apprezzato l'intervista a Repubblica di Renzi, che ha dimostrato di essere un vero leader che guarda agli interessi generali del Paese e non a quelli particolari di corrente».


Lei che voto dà a queste primarie?


«Un voto alto. Mi sono battuto per farle e bene ha fatto Bersani a volerle, affinché fosse chiaro che alla vergogna del Porcellum rispondevamo coinvolgendo gli elettori e facendo scegliere loro i 3/4 dei parlamentari, unici in Europa. Magari le si migliorerà e la prossima volta, sarei d'accordo anch'io, potranno essere ancor di più quelli scelti direttamente. Ma non dimentichiamoci il risultato ottenuto».





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