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Partito Democratico - Emilia-Romagna
  venerdi 29 marzo 2024 Partito Democratico Emilia-Romagna
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Tante identità, una sola, innovativa sintesi

20 settembre 2009


Si riporta di seguito la trascrizione integrale dell’intervista a Dario Franceschini, Segretario del PD e candidato alla Segreteria in vista del prossimo Congresso, realizzata da Guido Dell’Aquila sabato 19 settembre alla Festa del PD di Bologna.

Dopo l’attentato in Afghanistan, in entrambi gli schieramenti politici ci sono state voci contro la permanenza dei militari italiani. Il Presidente Napolitano ha espresso invece un netto no alla smobilitazione. Siete d’accordo con le sue parole?
Assolutamente sì, e trovo veramente fuori luogo che di fronte a 6 militari morti in una missione decisa dallo Stato, non ci sia stata una doverosa fase di silenzio e rispetto. Le famiglie dei soldati morti, e quelli che sono ancora lì, hanno il diritto di sentire lo Stato alle loro spalle. Il chiacchiericcio politico della maggioranza è stato poco piacevole. Al contrario, dopo la notizia, ho convocato la riunione del PD, invitando anche gli altri candidati alla Segreteria, e molto in fretta abbiamo concordato la posizione del partito. Anche Napolitano ce ne ha dato atto, e aggiungo che in vista del 25 ottobre questo ci torna utile per dire due cose chiare agli elettori. La prima è che, dal giorno dopo, tutti sosterranno lealmente il vincitore. La seconda è che anche in queste settimane occorre fare come per l’Afghanistan: guai a trasferire il nostro dibattito interno sulla rappresentanza esterna, così come abbiamo fatto spesso in passato.

Rimanendo sull’ Afghanistan e sull’ipotesi di uscita da questa missione. Ci sono convergenze possibili con il Governo?
Dovremo parlarne in Parlamento. Per ora osservo solo che mentre dalla missione irachena, promossa senza l’Onu, abbiamo potuto uscire non appena possibile, in questo caso siamo impegnati con le Nazioni Unite e altri 26 Paesi, e quindi occorrerà rispettare le decisioni internazionali. Ovviamente però, un Paese autorevole come il nostro dovrebbe essere in grado di influenzare queste decisioni.

Non pensa che le vicende private di Silvio Berlusconi allontanino l’attenzione dai temi veri?
Certamente. Abbiamo cominciato la campagna elettorale della scorsa primavera imponendo alcuni temi in agenda, dall’assegno per i precari, al contributo di solidarietà dei redditi più alti nei confronti dei più poveri. Poi, da quando è esploso questo caso, non si è più parlato della crisi e dei problemi degli italiani, e questo ha creato un danno anche a noi. Io ho scelto di non parlarne, perché penso che gli italiani abbiano una opinione già molto chiara di questi fatti. Noi piuttosto dobbiamo contrastare il Governo su quello che non fa, tenendo ben presente allo stesso tempo che è anche nostro compito difendere, ad alta voce se serve, il diritto della stampa di fare inchieste sui personaggi pubblici, come avviene nel resto del mondo.

Pensa che in Italia esista un rischio per la libertà di stampa?
Sì, non a caso siamo 80esimi nella classifica mondiale in materia. Il problema è che rischiamo di assuefarci ad un sistema informativo assolutamente anomalo, dove una parte delle voci è pesantemente condizionata dal conflitto di interessi – e qui occorre dire che tutti noi abbiamo la gravissima responsabilità di non avere fatto la legge sul conflitto di interessi dal 96 al 2001 – ed un’altra parte è ormai costantemente intimidita dal Presidente del Consiglio. Il problema è che Berlusconi pensa da sempre che vincere le elezioni non significhi governare per cinque anni, ma diventare padroni dello Stato, e a quel punto chiunque intralcia questa visione è vissuto come un fastidio. E qui occorre stare attenti, perché il PD rischia di farsi condizionare dall’idea che se critica il Governo sta suonando il solito ritornello dell’anti-berlusconismo. Al contrario, se il Governo non solo non risolve i problemi, ma calpesta anche le libertà, noi dobbiamo fare più opposizione, non meno. Gli autoritarismi di oggi d’altronde sono più sofisticati rispetto a quelli di 80 anni fa: rispettano le regole formalmente, ma le svuotano sostanzialmente. Perciò dobbiamo tenere viva la memoria e ricordare ai giovaniche le libertà di cui godono non sono cadute dalla luna, ma sono costate sangue, sudore e fatica.

Dopo il caso Boffo si parla di rapporti compromessi tra Chiesa e Governo. Lo pensa anche lei?
Ogni politico trasmette valori ad un Paese, e gran parte dei valori di Berlusconi e della destra sono lontanissimi da quelli della cultura cattolica. Qualcosa si è incrinato, ma il pluralismo delle scelte politiche dei cattolici c’è da decenni. Noi però non dobbiamo aspettare i problemi altrui: per vincere dobbiamo guadagnarci la pagnotta, tornando a parlare a chi non ci ascolta più.

Come giudica l’intervento sullo scudo fiscale in questi tempi di crisi?
Chi ha esportato illegalmente capitali può farli ora rientrare pagando 20 volte meno di chi li ha tenuti in Italia. Non solo, ciò potrà avvenire senza accertamenti né alcun tipo di sanzione penale. Si tratta di una cosa vergognosa, anche perché se se l’evasione fiscale è sempre sbagliata, lo è di più oggi, quando tante persone oneste che fanno fatica ad arrivare a fine mese trovano ancora più insopportabile vedere premiato chi ha violato la legge. Avevano detto mai più condoni, questo lo hanno chiamato diversamente, ma è il peggiore dei condoni. Dobbiamo opporci in tutti i modi a questo intervento, accendendo i riflettori laddove il Governo, forte della sua posizione di vantaggio mediatica, mette tutto a tacere.

Pensa che le nuove e crescenti frizioni tra Fini e Berlusconi produrranno effetti stavolta?
Non so, altri momenti di tensione in passato si sono ricomposti. Il declino di Berlusconi è cominciato esattamente il giorno delle Europee, quando tutti si aspettavano il PDL sopra il 40% e un crollo del PD. Questo per dire che noi dobbiamo comunque lavorare, non aspettare. Quanto a Fini, come Presidente della Camera sta lavorando bene e ogni volta che difende il ruolo del Parlamento ha il nostro sostegno. Resta però un uomo della destra, e quindi un nostro avversario. Il problema è che siamo messi talmente male con gli avversari, che il primo normale ci sembra addirittura un eroe civile.

Lo stesso Fini sembra spostarsi al centro, verso Casini. Cosa ne pensa, e cosa pensa delle recenti aperture di Rutelli in quella direzione?
Penso ci sia poco spazio per un progetto comune tra Fini e Casini. Quanto all’UDC, va bene costruire alleanze, anche larghe, purché ci sia una reale condivisone dei programmi, e non ci siano mai ambiguità né sconfinamenti nel campo della destra. Questo è un tema cardine, ed è giustamente al centro del nostro confronto congressuale. Noi non prenderemo mail il 51% da soli, la vocazione maggioritaria vuol dire piuttosto vincere bene facendo alleanze. Ma una cosa è farne attorno a programmi chiari, per una volta mantenendo un impegno con gli elettori, e l’altra è prendere dentro chiunque ci sta. Il PD è nato proprio contro questa logica, che è stata poi quella che ha portato al governo litigioso e frammentato dell’Unione, e si tratta di una logica alla quale io non voglio più tornare.

Oggi sono stati diffusi i dati dei dei primi 587 Congressi di circolo, il 12% del totale, che hanno coinvolto circa il 6% degli iscritti. Lei è al 35,6%, Bersani al 55,7% e Marino all’8,7%. Come commenta questi dati?
Siamo appena all’inizio. Sta succedendo una cosa utile e bella, alla faccia di chi pensava ad un percorso lacerante. Ci stiamo confrontando realmente, e questo lavoro servirà dopo il 25 ottobre, quando chiameremo ad esprimersi tutti i nostri elettori. E su questo vorrei non si tornasse indietro, anche perché abbiamo scelto all’unanimità di costruire un partito che aggiunge la forza degli elettori a quella degli iscritti. Io voglio appunto un partito solido, con circoli in tutti i Comuni e che possa contare sulla forza dei militanti, ma penso anche che oggi un partito debba essere diverso da quello che era 50, 60 anni fa, quando di fatto l’unico modo di fare politica era iscriversi ad un partito. Ora ci sono decine di modi alternativi, pensiamo alla rete per fare l’esempio più lampante, e mi chiedo perché dovremmo privarci di queste forze Gli elettori d’altronde non sono degli estranei, sono i nostri azionisti, a loro dobbiamo rendere conto. Perciò, possiamo sicuramente correggere alcuni meccanismi, ma non torniamo indietro rispetto ad una idea adatta alla società attuale. E se il 25 ottobre verrà molta gente a votare, questo sarà importante anche per la democrazia italiana.

Un tam tam giornalistico dice che se alle Primarie voteranno al massimo un milione di elettori, vincerà Bersani. Sopra quella cifra, vincerebbe lei. Lo ritiene veritiero?
Si tratta di passatempi giornalistici. Però sono convinto che alle Primarie verranno almeno due milioni di persone, e che saranno loro a decidere chi vincerà. Quando ho assunto la Segreteria, pensavo che a ottobre avrei potuto passare il testimone alle nuove generazioni, che già oggi sarebbero pronte per fare meglio di noi. Ho capito però che non sarebbe avvenuto e allora ho scelto di candidarmi. Ma l’ho fatto anche perché mi era rimasta sullo stomaco la battuta di Berlusconi, che mi aveva subito additato come l’ottavo leader del centro sinistra, al quale sarebbe presto succeduto il nono. Ho pensato che non aveva torto, e che tutti i miei predecessori in fondo avevano avuto molti più problemi col fuoco amico che con quello avversario. Perciò mi sono detto che questa volta, a decidere se devo smettere o no di fare il Segretario, non saranno i soliti 5 o 6 capi, ma gli iscritti e gli elettori del PD.

Cosa differenzia lei, Bersani e Marino?
Molto poco, non a caso militiamo nello stesso partito. Noi dobbiamo solo dire cosa vogliamo fare, e per quanto mi riguarda io ho intenzione di continuare il mio lavoro, migliorando alcune scelte, così come perfezionando alcune cose che ho introdotto, a partire da quella giusta dose di decisionismo che nei primi tempi era mancata. Soprattutto però, voglio difendere l’idea stessa del PD: un grande partito contemporaneo non può essere identitario, perché porta in sé culture e sensibilità politiche diverse. La stagione dei partiti identitari è finita: abbiamo scelto di fare un grande partito perché l’Italia non ne poteva più di gruppi dirigenti che si rubavano voti a vicenda. Ora in noi esiste una pluralità di posizioni, e non sempre si è d’accordo su tutto. Ma la sfida più difficile, che poi è anche la più appassionante, è di fare sintesi. Se al contrario una identità prevalesse sulle altre, non saremo più la casa di tutti. È per questi motivo che rivendico con orgoglio il fatto che Piero Fassino sia il coordinatore della mia mozione.

Come volete riconquistare la credibilità delle tantissime persone disaffezionatesi della politica?
Occorre coerenza. Senza, la credibilità crolla di colpo. Il PD è nato per cambiare il Paese, non le prossime elezioni, e le battaglie di cambiamento richiedono coraggio. Sono stanco delle cose dette a metà, figuriamoci chi ci ascolta. Occorre dire cose chiare. Nella sanità, ad esempio, non è normale che ci sia invadenza della politica, e il tema del merito vale anche in casa nostra. Vada avanti chi è più bravo, non chi conosce le persone più in alto.

Dalle colonne de L’Unità, Andrea Camilleri afferma che l’opposizione in Italia non la fa il PD, ma due giornali e una rete televisiva. Come commenta questa uscita?
Si tratta di un forzatura, anche ingenerosa. Ma c’è un fondo di sensibilità: dobbiamo fare più opposizione, e non pensare che l’opposizione debba fare solo proposte. Quelle servono, e serve portarle in aula per votarle, come abbiamo fatto anche se ce le hanno bocciate tutte. Ma penso che l’altra parte del nostro mestiere sia contrastare il Governo, e perciò se il 25 ottobre tanta gente parteciperà alle Primarie, lanceremo anche un grande segnale contro questa destra.

Presto, se dovessero precipitare alcuni eventi, potreste trovarvi di fronte alla prospettiva di assumervi delle responsabilità politiche. Siete pronti?
Assolutamente sì. Di fronte ad un’emergenza dovremo cessare automaticamente ogni sfumatura tra noi. Il Congresso è fondamentale, ma se si apre l’opportunità di battere la destra e di lavorare per salvare il Paese, dovremo essere pronti.

Quale infine il suo messaggio agli iscritti in vista del 25 ottobre?
Vorrei prima rivolgere un invito a Ignazio Marino, che durante questa campagna sta erigendo muri tra laici e cattolici sui temi eticamente sensibili. Il PD deve però abbatterli i muri, e ricordo a Marino che questi temi, in quanto inediti, sono estremamente complessi, e richiedono una riflessione comune, piuttosto che una logica di scontro. Per quanto mi riguarda, ritengo sacrosanta la libertà di espressione della Chiesa, così come però il principio di laicità dello Stato, ragion per cui mai devono arrivare condizionamenti ai parlamentari cattolici. Se poi si chiede il mio parere su vicende come quella di Eluana Englaro, penso che  solo il diretto interessato può scegliere di lasciarsi morire, e se lui non può farlo la scelta spetta alla sua famiglia o ai medici, mentre lo Stato deve restarne sempre e comunque fuori. Agli iscritti chiedo infine solo di votare in totale libertà e autonomia, perché questa scelta è troppo importante per farla secondo indicazione. Sceglieteci non in base alle storie, ma valutando le idee che abbiamo per il futuro. Così facendo, il 25 ottobre non vincerà uno di noi tre, ma tutto il PD.


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