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Partito Democratico - Emilia-Romagna
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Bonaccini e Zingaretti: "organizzazione e radicamento per una politica davvero credibile"

14 settembre 2009

Pubblicato in: Feste

Intervistati lunedì 14 settembre alla Festa di Bologna da Marco Marozzi, Nicola Zingaretti e Stefano Bonaccini, entrambi sostenitori a livello nazionale della mozione Bersani, hanno espresso i concetti e le idee di seguito sintetizzati.

I due principali candidati alla Segreteria nazionale sono di Piacenza e Ferrara. L’Emilia-Romagna può diventare uno dei maggiori modelli di riferimento del PD?


Nicola Zingaretti
Nel congresso non dobbiamo solo eleggere dei segretari, ma consegnare all’Italia un grande partito popolare che dica chi siamo e cosa dovremo essere. Oggi non siamo percepiti come un’alternativa credibile, e per tornare ad esserlo occorre proporsi come una grande forza popolare in grado di intercettare i bisogni e renderli battaglia politica. Se sostengo Bersani perciò, è perché lui, più di altri, ha avuto il coraggio di dire che occorre ripartire dalla serietà di un progetto che ridia dignità alla politica. In questo scenario, penso che la tradizione emiliana, che della credibilità e della capacità di fare ha sempre fatto un proprio tratto distintivo, possa essere assolutamente utile a questo partito.

Stefano Bonaccini
La parola modello, se associata alla stasi, non mi entusiasma, anche perché la forza di questa regione è sempre stata la capacità di innovazione continua. Se interpretata però in questo senso, credo che la nostra regione possa dare un contributo rilevante. Il PD attuale non basta: dobbiamo tornare a mobilitare le enormi aspettative che eravamo riusciti a catturare solo due anni fa, e per farlo dall’Emilia-Romagna possono arrivare due grandi contributi. Il primo riguarda il pragmatismo riformista, che ha da sempre caratterizzato i nostri territori e che nel tempo ha permesso di rendere una delle regioni più povere d’Italia in una tra le più 10 più ricche d’Europa oggi, e con la forbice tra ricchi e poveri meno ampia d’Italia. Il secondo contributo riguarda la capacità, che qui c’è stata più che altrove, di tenere in vita un partito popolare e radicato tra la gente. Se non hai una organizzazione, puoi anche avere le idee e le proposte migliori del mondo, ma non riuscirai mai a proporle e farle passare, soprattutto se ti scontri contro chi dispone di imperi mediatici. E organizzazione è una parola che qui in Emilia-Romagna ha sempre contato tanto.

Ma come è possibile cambiare la forma partito senza replicare quelle che il PD, o almeno una sua parte, eredita dal passato?

Nicola Zingaretti
Piuttosto che evocare spettri, a volte anche per non discutere delle idee e dei programmi, dovremmo chiederci se e quanto alla società e alla democrazia italiana non serva una grande forza politica organizzata basata sul volontariato e la passione di milioni di cittadini. Io penso che serva molto, perché laddove non c’è organizzazione democratica, è maggiore il rischio di derive autoritarie. E se mi si accusa di essere nostalgico, piuttosto che del PCI parlo della Lega, che trae la sua forza proprio dal radicamento nei territori. È ovvio poi che la forma partito di oggi debba essere necessariamente diversa da quella del passato, perché la società attuale offre moltissime altre opportunità di aggregazione sociale per le persone. Ma se questo è vero, lo è altrettanto che questo Paese ha sempre più bisogno di un soggetto che elabori proposte nella cornice di un quadro unitario di idee e valori, affinché le prime non siano percepite come sporadiche e scollegate tra loro. Il PD che auspico deve rendere credibile l’idea che esista una reale alternativa per dare un futuro migliore a questo Paese.

Stefano Bonaccini
Noto una certa schizofrenia nei commenti. Spesso ci accusano di non avere la classe dirigente di un tempo, poi ci viene detto che i partiti apparati non servono più. Ma è innegabile che una classe dirigente all’altezza non può prescindere da una organizzazione forte e radicata nei territori. Pensiamo solo a quante persone di estremo valore non accettano più di impegnarsi in politica, di fare i sindaci ad esempio, perché non hanno garanzie su se e quanto il partito garantirà loro una continuità professionale, una volta terminate quelle esperienze. Se quindi è sciocco pensare di tornare ai partiti di prima, è poco valida anche l’idea di un partito liquido, mentre esiste sicuramente, e va cercata, una via di mezzo. Ben venga quindi l’uso di Internet, ma a patto che ad ogni e-mail ricevuta, ad ogni domanda sollevata, io sia in grado di rispondere immediatamente, dando l’idea che al di là dello schermo esiste una organizzazione in grado di farsi carico di tutto ciò. Un partito deve insomma essere una forza popolare in grado sempre e comunque di essere dove ci sono i problemi della gente, per proporre soluzioni e idee capaci di risolverli.

Nicola Zingaretti, rappresenti la classe dirigente di un partito del tutto nuovo, ormai non più “post” di nulla. Quali sono le vostre maggiori responsabilità?
Dal passato, i nuovi gruppi dirigenti dovrebbero ereditare un paio di caratteristiche che purtroppo sono andate in parte perse ultimamente. La prima è la solidarietà tra i componenti, perché dove manca, si affaccia la sensazione che i singoli lavorino per il proprio tornaconto. Inoltre occorre coerenza: questo Paese ha paura, stiamo attraversando un gravissimo momento di crisi, e la gente nell’ansia torna a formulare risposte alla politica, sperando in risposte credibili. Prima ancora che formulare proposte capaci di catturare consenso, dobbiamo perciò tornare a essere credibili, trasmettendo l’idea che faremo davvero quanto proponiamo.

Stefano Bonaccini, tu sei ancora più giovane di Zingaretti e anche più di lui dovrai confrontarti con una destra che sopravviverà a Berlusconi e che sempre più, anche in Emilia-Romagna, cattura consensi. Come si dovrà affrontare questa sfida?
Qui da noi sta avanzando molto il modello della Lega, ma non si tratta di un’anomalia, perché ovunque in Europa, dopo 60 anni di pace e prosperità, all’affacciarsi dei primi seri dubbi sulla capacità di mantenere questi standard di vita, le forze populiste e xenofobe si sono affermate. Preso atto di questo, occorre innanzitutto riconoscere che la solidarietà non basta più, ragion per cui, se la dignità umana viene sempre e comunque prima di tutto – e questo significa che mai e poi mai si può respingere indietro un barcone pieno di immigrati che rischiano la vita – bisogna rispolverare quella politica degli accordi bilaterali del Governo Prodi, che riuscì a limitare i flussi migratori nei nostri confronti, pur proponendo aiuti concreti ai Paesi che li generavano. Allo stesso tempo, e riconoscendo come fa anche la Banca d’Italia che gli immigrati in Italia spesso di lavoro ne hanno addirittura creato, dobbiamo puntare con forza sulle politiche di integrazione, e sulla nostra capacità di elaborare soluzioni valide e buon governo. Rigore quindi, ma anche politica, perché se si riescono a coniugare le due cose emerge la pochezza di una forza come la Lega, che è maestra nel sollevare problemi e indicare colpevoli, ma non ha nessuna cultura di governo né è in grado di proporre soluzioni valide. E quando la gente, presto, si stancherà di promesse alle quali non seguono fatti, il PD dovrà farsi trovare pronto e in salute.


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