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Partito Democratico - Emilia-Romagna
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Accantonare le divisioni sul tema del lavoro

16 gennaio 2012

Pubblicato in: Dichiarazioni

Sul confuso dibattito in corso sui temi del mercato del lavoro arriverà presto l’ora della verità. Ciò riguarderà specialmente il Pd, il suo profilo e la sua stessa funzione politica. Va riacquistato anzitutto il senso delle proporzioni. Un profondo riaggiustamento delle caotiche regole in materia di mercato del lavoro ereditate dal governo delle destre è certo necessario. Ma è del tutto fuori misura immaginare chissà quali effetti miracolistici di nuovi interventi legislativi. I problemi italiani, ed europei, hanno radici strutturali che poco hanno a che fare con regolazioni formali dei rapporti di lavoro.

Ora non è il tempo di marginali correzioni dell’assetto strutturale italiano. Si tratta di mettere mano a profonde e radicali riforme che riguardano i fondamenti stessi dello Stato e del suo funzionamento: la realizzazione di una fedeltà fiscale di stampo europeo, lo sradicamento della corruzione, l’abbattimento della pletoricità dei livelli istituzionali e delle cariche politiche, il divario, infrastrutturale e civile, tra nord e sud, l’alleggerimento del carico fiscale su lavoro e impresa, il superamento delle strozzature corporative che impediscono unalibera concorrenza nel settore dei servizi, la riconversione ecologica della produzione e dell’urbanistica.

Inutile ricordare che il tema del lavoro per il Pd costituisce una discriminante: lì si pone infatti un intreccio decisivo tra scelte immediate e visione strategica. Di tutto si può discutere e su singoli temi ci si può persino dividere. Questo non è possibile sui temi del lavoro: al momento delle decisioni cruciali lì si gioca infatti non solo l’identità, quanto l’utilità, la stessa riconoscibilità del Pd e della sua proposta poltica. Perciò penso che tutte le proposte di legge fin qui presentate da parlamentari del Pd, nella fase del governo Berlusconi, spesso a fini simbolici o di «manifesto politico», dovrebbero essere accantonate. Accapigliarsi su quale sia la migliore tra di esse sarebbe ora grottesco. Invece che porsi l’inutile compito di effettuare «sintesi» o «mediazioni», che rischiano di essere persino dannose, l’Assemblea nazionale del Pd del 20-21 gennaio dovrebbe concentrarsi
sulla elaborazione di unsemplice deliberato, che si potrebbe tradurre persino in articolato di legge, fondato su alcune essenziali priorità.

1) Abrogare l’art.8 della l. 148/ 2011, quello che ipotizza la derogabilità dell’intero diritto del lavoro ad opera di contratti aziendali o territoriali;

2) Modificare l’ art.19 dello Statuto nel senso di attribuire il diritto a costituire rappresentanze nei luoghi di lavoro ai sindacati che raggiungono specifiche soglie di rappresentatività, in termini di iscritti o di voti ricevuti, ponendo fine alla aberrante applicazione di tale norma nel senso di escludere i sindacati rappresentativi ma dissenzienti da specifici accordi (come accade alla Fiom negli stabilimenti Fiat), e ripristinando un fondamento essenziale della libertà sindacale;

3) Abrogare le forme più estreme di contratti precari accorpando i contratti atipici in 3/4 figure essenziali: l’apprendistato, il contratto a termine, la somministrazione di lavoro;

4) Rendere convenienti per le imprese con incentivi fiscali le assunzioni a tempo indeterminato;

5) prevedere un nuovo contratto di «ingresso al lavoro», incentivato fiscalmente, per giovani, donne e lavoratori maturi licenziati per motivi di crisi, e assegnare a questi soggetti congrue indennità di avviamento al lavoro, una volta accertato il loro effettivo stato di disoccupazione e la loro autentica volontà di cercare lavoro.

Su altre questioni sarebbe necessaria un’organica riforma: riordino degli
ammortizzatori sociali; introduzione di strutture pubbliche di gestione e controllo sul mercato del lavoro (perché non costituire una vera Agenzia nazionale del lavoro, al posto degli attuali frammentati centri pubblici dell’impiego, abolendo organismi inutili, tipo l’ineffabile Civit, organo di controllo sulla produttività del pubblico impiego?); efficacia giuridica dei
contratti collettivi sulla base dell’accertamento della effettiva rappresentatività dei sindacati stipulanti, e un più generale progetto di semplificazione del diritto del lavoro, diventato una normativa caotica e persino irriconoscibile, centrato su un obiettivo di razionalizzazione delle normative e non su quello, criptico, di controriformare il diritto del lavoro in senso regressivo. Ma, al momento, le priorità sono quelle indicate. Il resto sono parole al vento, spesso alimentate solo da futili motivi di visibilità

Luigi Mariucci: L'Unità del 15/01/2012 


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