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Ma ora il governo eviti interventi sull'articolo 18

7 dicembre 2011

Pubblicato in: Attualità

Le misure adottate dal governo Monti sono dure soprattutto per lavoratori dipendenti e pensionati. Non a caso il ministro del Welfare Fornero ha pianto quando ha dovuto annunciare la misura forse più iniqua: quella della deindicizzazione delle pensioni che, fatte salve quelle al minimo e sotto la soglia della povertà, determina un generale
impoverimento dei pensionati proprio quando si dovrebbe sostenere la domanda interna riducendo le vistose disuguaglianze tra chi ha pagato in questi anni la crisi e chi della crisi si è avvantaggiato.

Vedremo nei prossimi giorni se ci sarà spazio per introdurre quei correttivi necessari a dare un senso alla parola equità. Ma soprattutto occorre ora vigilare sul provvedimento annunciato in materia di mercato del lavoro. Qui saranno in gioco non solo questioni, pure rilevanti, di trattamento economico come quelle relative alla estensione dei meccanismi di sostegno al reddito dei lavoratori a rischio di disoccupazione o in cerca di lavoro, ma questioni cruciali di principio che riguardano la sfera dei diritti. Si può pagare un prezzo alla crisi, in termini di sacrifici economici. Quello che non è tollerabile è utilizzare la crisi per ledere lo stessa dimensione dei diritti fondamentali del lavoro. Su questo piano il governo Berlusconi ha lasciato una eredità velenosa: mi riferisco all’articolo 8 della legge n. 148 del 2011 che legittima la rinuncia alle tutele fondamentali previste dallo Statuto dei lavoratori attraverso contratti aziendali o territoriali, ipotizzando un vero e proprio mercimonio dei diritti.

Quella norma va abrogata. Così come si deve rimediare a una delle conseguenze più inaccettabili dei contratti separati alla Fiat: l’abolizione delle rappresentanze unitarie elettive, sostituite da organi burocratici dei sindacati firmatari del contratto, e l’esclusione della Fiom dai diritti di agibilità nell’azienda. Questo può farsi con una semplice integrazione dell’articolo 19 dello Statuto. Infine le misure di sostegno alla occupazione giovanile e femminile devono essere adottate nella chiave del contrasto alla precarietà e nella prospettiva dell’incentivazione del lavoro stabile, a tempo indeterminato. Si dovrebbe a tal fine disboscare la giungla dei contratti iperprecari, prevedere due o tre forme fondamentali di accesso al lavoro, a partire dall’apprendistato, e rendere più costoso il lavoro flessibile rispetto a quello stabile.

Questo può farsi senza inseguire le formule ingannevoli dei cosiddetti contratti unici, che poi unici non sono, e si tradurrebbero in nuovi e inaccettabili dualismi, e senza neppure ipotizzare una modifica della disciplina dei licenziamenti che nulla ha a che fare con l’incremento dell’occupazione, come dimostra il fatto che la quantità più elevata di assunzioni precarie si concentra proprio nei settori e nelle imprese a cui non si applica l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Insomma l’ossimoro della flexsecurity va tradotto così: di flessibilità del lavoro ce n’è fin troppa. Quello che manca è la sicurezza del lavoro: è lì che si deve intervenire con una radicale innovazione.

fonte: l'Unità ed. 7/12/2011


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